Avreste mai pensato che un’alga unicellulare verde potesse diventare protagonista di una svolta energetica nel nostro futuro? Si chiama Chlamydomonas reinhardtii ed è una (ma non l’unica) specie di alga verde capace di produrre idrogeno in alcuni momenti del suo metabolismo.
Perché potrebbe essere così importante investire nella ricerca della produzione di idrogeno? L’idrogeno è il primo elemento chimico della tavola periodica, ed è un gas incolore e inodore; esso è anche l’elemento chimico in assoluto più abbondante dell’universo, costituendo fino al 75% della materia del cosmo, poiché costituisce il principale combustibile delle stelle. Ciò che però rende l’idrogeno appetibile agli occhi dei ricercatori è la sua elevata reattività in processi di combustione associata ad una significativa riduzione di gas serra, perché una reazione di combustione tra idrogeno ed ossigeno, oltre a liberare una buona quantità di energia, produce soltanto acqua come prodotto di scarto, per cui l’annoso problema delle emissioni di anidride carbonica potrebbe trovare una vera e propria strada risolutiva.
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Chlamydomonas reinhardtii |
Perché allora non utilizziamo già tutti idrogeno? Il modo per ricavare idrogeno in natura è veramente faticoso, nonché dispendioso in termini energetici. Esso infatti, pur essendo ampiamente diffuso in natura, non è presente come fonte energetica primaria (ribadiamo pertanto che l’idrogeno non si può definire una vera e propria fonte di energia), a differenza ad esempio dei combustibili fossili, per cui dev’essere separato con metodi chimici dagli altri atomi a cui si lega in altre molecole, come acqua (H2O), metano (CH4), ecc. La tecnologia per poterlo fare esiste, ma in effetti si è constatato che non è conveniente, perché il dispendio energetico richiesto per ottenere idrogeno da tali molecole nella migliore delle ipotesi sarebbe compensato dal suo impiego; nel peggiore dei casi si otterrebbe una resa energetica addirittura inferiore alla spesa. Per non parlare poi dello stoccaggio e della trasportabilità dell’idrogeno: conservarlo in forma liquida richiede temperature prossime allo zero assoluto, mentre in forma gassosa contenitori in grado di resistere a pressioni di 200 atmosfere.
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Molecole di idrogeno biatomico |
Sono diversi anni però che gli scienziati puntano l’attenzione su un’alga verde, Chlamydomonas reinhardtii. Si tratta di un’alga verde unicellulare che utilizza due flagelli per la locomozione, ma presenta un modo molto particolare di svolgere fotosintesi. Sappiamo infatti che, quando si trova in condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno), si interrompe il regolare processo fotosintetico e si innesca un altro meccanismo che conduce alla produzione di idrogeno. In particolare, quando si riduce l’ossigeno presente nell’ambiente, un enzima ferro-idrogenasi non è più inibito dall’ossigeno e può svolgere la sua attività, che si esplica attraverso una serie di reazioni chimiche che hanno come obiettivo l’espulsione di idrogeno dalla cellula, come una sorta di “valvola di sfogo” che la cellula si ritrova costretta a mettere in atto per compensare una situazione in cui si accumula un’eccessiva quantità di elettroni presso i cloroplasti in seguito alla fotolisi dell’acqua (per avere un’idea di com’è fatta una cellula eucariota vegetale, vai al link dell’articolo).
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Colture cellulari senza zolfo |
Già nel 2000 i ricercatori dell’Università di Berkeley in California misero a punto una tecnica per coltivare in laboratorio C. reinhardtii, in modo da ricavare congrue quantità di idrogeno a basso costo. In particolare, gli scienziati allestirono una coltura privo di zolfo, componente essenziale per la fotosintesi, e constatarono che effettivamente le cellule, nell’arco di una giornata circa, riducevano in maniera drastica l’attività fotosintetica, innescando così “la via dell’idrogeno”. Il problema fondamentale è che le alghe, dopo pochi minuti, sono in grado di ripristinare l’attività fotosintetica, per cui la produzione d’idrogeno sarebbe limitata ad un breve periodo di tempo.
Negli ultimi anni, però, sono stati compiuti passi avanti in tal senso; i ricercatori hanno messo a punto strategie di diverso tipo per cercare di prolungare nel tempo la produzione di idrogeno da parte delle alghe, una delle quali consiste nel rendere insensibile la ferro-idrogenasi all’inibizione esercitata dall’ossigeno, mentre un’altra strada prevede la manipolazione genetica tale da bloccare per un certo lasso di tempo la via fotosintetica, in modo tale che la ridotta produzione di ossigeno favorisca l’attività idrogenasica.
Se quindi non è conveniente l’impiego dell’idrogeno come mezzo per produrre energia su vasta scala, è però fattibile un utilizzo su piccola scala, ad esempio come mezzo per ottenere energia nell’autotrazione. Se si riuscisse in futuro ad incrementare la resa di idrogeno ottenuto dalle alghe, si potrebbe utilizzarlo come carburante per veicoli, con enormi benefici per la salute di noi e del pianeta su cui viviamo, visto che ne esiste già qualche prototipo.
Riferimenti bibliografici:
Anastasios Melis, Thomas Happe (2004). Trails of green alga hydrogen research – from Hans Gaffron to new frontiers. Photosynthesis Research 80: 401–409.