Le più antiche testimonianze archeologiche dell’aritmetica (2° parte): l’osso di Ishango

In un articolo che ho scritto qualche giorno fa, abbiamo visto che i più antichi reperti archeologici che evidenziano un’operazione di conteggio nell’insieme dei numeri naturali, risalgono a circa 35.000/40.000 anni fa. Tuttavia, anche se risale ad un periodo storico successivo, 20.000 anni fa, è senz’altro più interessante un altro reperto, rinvenuto presso il lago Edoardo, nella zona dell’Africa tra Uganda e Zaire, appartenuto ad una piccola comunità che viveva di caccia, pesca e probabilmente raccolti dipendenti dall’andamento delle stagioni, oggi nota col nome di Ishango.
Osso di Ishango
L’osso di Ishango è attualmente conservato al Museo di storia naturale di Bruxelles, e si differenzia dall’osso di lupo e di babbuino precedenti in quanto presenta ben tre file distinte di tacche incise, suddivise ciascuna in sottogruppi peculiari, che tutt’oggi sono al centro di dibattiti nel mondo matematico per cercare di capire il criterio di ripartizione dei sottogruppi di ogni fila.
Se osserviamo meglio il reperto, possiamo notare che la fila (a) contiene quattro gruppi di tacche, recanti rispettivamente 9, 19, 21 e 11 tacche; la fila (b) presenta anch’essa quattro gruppi, con 19, 17, 13 e 11 tacche; la terza ed ultima fila (c) contiene otto gruppi di tacche, nell’ordine: 7, 5, 5, 10, 8, 4, 6, 3.
Cosa significano queste tacche? E’ qui che le ipotesi si fanno davvero disparate!
1) Alcuni ricercatori, osservando che le prime due file danno ciascuna 60 come totale dei rispettivi numeri, hanno ipotizzato che l’osso di Ishango potrebbe rappresentare un primitivo tentativo di strutturare un sistema di numerazione con base 60, che come sappiamo sarà sviluppato magistralmente dalle popolazioni mesopotamiche. Tale ipotesi, però, è forse la più debole, poiché sembra davvero azzardato dedurre la presenza di un sistema numerico così complesso dalla pura e semplice presenza di 60 incisioni. Inoltre, tale ipotesi non darebbe alcuna spiegazione circa il criterio di suddivisione dei raggruppamenti, nè si spiegherebbe il totale di 48 dato dalla terza fila.
2) Altri studiosi vedono nell’osso di Ishango un primitivo abbozzo di sistema numerico in base 10, che avrebbe presumibilmente rappresentato il punto di partenza per il primo sistema numerico decimale della storia, sviluppato dagli Egizi. Tale deduzione farebbe leva sulla disposizione delle tacche della riga (a), che potrebbe essere letta come: 10 – 1, 10 * 2 – 1, 10 * 2 + 1, 10 + 1. Il possesso del concetto di moltiplicazione, inoltre, potrebbe essere anche evidenziato dalla riga (c), in cui, eccezion fatta per il 7, sembra che i numeri 10, 8 e 6 siano ottenuti raddoppiando 5, 4 e 3. Anche tale ipotesi, tuttavia, sembra alquanto improbabile e forzata, anche perché non spiegherebbe la riga (b).
3) Gli Ishango conoscevano i numeri primi? La riga (b) presenta quattro gruppi di tacche: 19, 17, 13, 11, che come ben sappiamo, sono gli unici numeri primi compresi tra 10 e 20, disposti in sequenza. Questa riga è forse quella più interessante proprio per questa ragione, perché spianerebbe nuove strade verso l’acquisizione del concetto di divisibiltà e numeri primi in tempi anteriori a quelli finora considerati. Anche questa considerazione, tuttavia, sembra fin troppo audace, per quanto interessante, e andrebbe pertanto presa con le dovute cautele.
Cosa volevano indicare quindi gli Ishango con queste tacche?
Si potrebbe pensare ad una sorta di primitivo calendario lunare, poiché la somma di 60 potrebbe rappresentare (circa) due cicli lunari successivi insieme. Probabilmente era un modo per annotare i giorni che separavano rituali o festività di natura religiosa o mistica, che da sempre accompagnano il modo di vivere di tribù del genere. Oppure, semplicemente, indicavano un conteggio di oggetti raccolti o animali cacciati raggruppati in momenti diversi del giorno o in giorni diversi.
In presenza di testimonianze così poco eloquenti, possiamo soltanto viaggiare con la fantasia…

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