L’olfatto delle piante, parte II: l’unione fa la forza
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Cuscuta su pianta di pomodoro |
A partire dal 1983 alcuni gruppi di ricerca hanno fatto delle scoperte davvero molto curiose, che hanno spianato la strada verso lo studio del cosiddetto “olfatto delle piante”. Un gruppo dell’Università di Washington guidato da David Rhoades e Gordon Orians, ad esempio, si accorse che i salici vicini ad altri salici infestati da bruchi venivano attaccati con minore frequenza e, per di più, le loro foglie contenevano fenolo e tannino, sostanze note per la loro capacità di essere sgradevoli agli insetti. Dal momento che i salici non erano a contatto tra loro, gli scienziati ipotizzarono che le foglie brucate dei salici infestati avessero liberato dei messaggeri molecolari in seguito alle lesioni subite, e che questi fossero poi stati intercettati dai salici limitrofi come segnali di input per la produzione di sostanze di difesa.
Phaseolus lunatus |
Sulla falsariga di questi esperimenti, Heil, Kost ed i colleghi del Center for Research and Advanced Studies del Messico studiano da anni il fagiolo americano selvatico Phaseolus lunatus. Anche in questo caso, oltre ad osservare il comportamento delle foglie già noto, si sono accorti che anche i fiori mettono in atto una strategia difensiva, producendo un nettare capace di attirare gli artropodi predatori dei coleotteri che mangiano le loro foglie. Heil e Kost però hanno voluto andare a fondo, predisponendo diversi set di esperimenti. In primo luogo hanno messo degli esemplari di fagiolo americano, attaccati da coleotteri, vicino ad altri che erano stati isolati, ed hanno poi rilevato, attraverso gas-cromatografi, la composizione dell’aria emessa sia da foglie mangiate, sia da foglie integre di piante infestate, e in più quella emessa dalle foglie integre sia di piante messe a contatto con quelle mangiate, sia di piante che non erano mai state esposte né a coleotteri né alle piante mangiate. Con l’unica eccezione delle foglie delle piante completamente isolate, sia le foglie delle piante mangiate, sia quelle delle piante poste in prossimità di quelle mangiate hanno rilevato la presenza di sostanze chimiche volatili nell’aria da loro emessa.
Non bisogna tuttavia trascurare l’importante valore evolutivo di un simile meccanismo fisiologico, solo perché si pensa che una pianta “aiuti casualmente” le piante vicine salvaguardando però se stessa: è sicuramente un comportamento vincente, che la natura seleziona positivamente nella sua seppur istintiva efficienza.
E, anche se non esiste un sistema nervoso nel regno vegetale, i botanici ormai sono concordi nell’affermare che questo debba essere considerato un vero e proprio “olfatto delle piante”.
Kost, C., & Heil, M. (2005). Increased availability of extrafloral nectar reduces herbivory in Lima bean plants (Phaseolus lunatus, Fabaceae) Basic and Applied Ecology, 6 (3), 237-248 DOI: 10.1016/j.baae.2004.11.002