L’olfatto delle piante, parte II: l’unione fa la forza

In un post che ho scritto alcuni mesi fa, abbiamo visto come sia importante anche per le piante recepire messaggeri di natura chimica emanati da altre piante, per svolgere il loro naturale ciclo biologico: la cuscuta, ad esempio, sceglie di nutrirsi come parassita sempre a spese di piante di pomodoro perché queste ultime emettono un bouquet di sostanze attraenti che ne rendono unica ed inequivocabile l’individuazione.
Nel regno vegetale, tuttavia, pare che l’emissione di messaggeri molecolari possa anche avere una funzione “altruistica”, tale da consentire uno scambio di informazioni tra piante della stessa specie utile alla difesa da potenziali minacce.
Cuscuta su pianta di
pomodoro

A partire dal 1983 alcuni gruppi di ricerca hanno fatto delle scoperte davvero molto curiose, che hanno spianato la strada verso lo studio del cosiddetto “olfatto delle piante”. Un gruppo dell’Università di Washington guidato da David Rhoades e Gordon Orians, ad esempio, si accorse che i salici vicini ad altri salici infestati da bruchi venivano attaccati con minore frequenza e, per di più, le loro foglie contenevano fenolo e tannino, sostanze note per la loro capacità di essere sgradevoli agli insetti. Dal momento che i salici non erano a contatto tra loro, gli scienziati ipotizzarono che le foglie brucate dei salici infestati avessero liberato dei messaggeri molecolari in seguito alle lesioni subite, e che questi fossero poi stati intercettati dai salici limitrofi come segnali di input per la produzione di sostanze di difesa.

L’ipotesi di Rhoades e Orians suscitò subito reazioni contrastanti: da una parte fu accolta come rivoluzionaria, dall’altra come fantascientifica, ma dopo appena 3 mesi un altro gruppo di ricerca, guidato da Ian Baldwin e Jack Schultz del Dartmouth College, sembrò confermare i risultati precedenti. Il team allestì un esperimento sui pioppi e gli aceri, utilizzando 2 teche: nella prima erano contenuti 30 alberi, tutti della stessa specie, dei quali 15 erano integri e 15 avevano ciascuno 2 foglie strappate a metà; nella seconda invece un egual numero di piante, tutte integre, come campione di confronto.
I ricercatori osservarono che nella prima teca le foglie degli alberi, anche quelli sani, avevano prodotto un certo numero di sostanze, inclusi fenolo e tannino, mentre nella seconda teca, cioè quella con alberi tutti sani, non era stata prodotta nessuna di queste sostanze. Essi quindi confermarono l’ipotesi di Rhoades e Orians, ritenendo così che le foglie, lesionate per qualsivoglia ragione, emettessero sostanze molecolari capaci di essere trasportate dall’aria e giungere ai membri della stessa specie per metterli “sul chi va là”. 
Phaseolus lunatus

Sulla falsariga di questi esperimenti, Heil, Kost ed i colleghi del Center for Research and Advanced Studies del Messico studiano da anni il fagiolo americano selvatico Phaseolus lunatus. Anche in questo caso, oltre ad osservare il comportamento delle foglie già noto, si sono accorti che anche i fiori mettono in atto una strategia difensiva, producendo un nettare capace di attirare gli artropodi predatori dei coleotteri che mangiano le loro foglie. Heil e Kost però hanno voluto andare a fondo, predisponendo diversi set di esperimenti. In primo luogo hanno messo degli esemplari di fagiolo americano, attaccati da coleotteri, vicino ad altri che erano stati isolati, ed hanno poi rilevato, attraverso gas-cromatografi, la composizione dell’aria emessa sia da foglie mangiate, sia da foglie integre di piante infestate, e in più quella emessa dalle foglie integre sia di piante messe a contatto con quelle mangiate, sia di piante che non erano mai state esposte né a coleotteri né alle piante mangiate. Con l’unica eccezione delle foglie delle piante completamente isolate, sia le foglie delle piante mangiate, sia quelle delle piante poste in prossimità di quelle mangiate hanno rilevato la presenza di sostanze chimiche volatili nell’aria da loro emessa. 

Heil e Kost inoltre hanno voluto avere la definitiva conferma che le piante danneggiate, più che “parlare con le altre” emettendo intenzionalmente dei segnali d’allarme, producessero i messaggeri in primis per se stesse e che poi questi, accidentalmente intercettati dalle piante vicine, risultassero utili anche per altri conspecifici. Hanno così predisposto un ultimo esperimento, in cui le foglie danneggiate sono state rinchiuse per 24 ore in sacchetti di plastica. Ebbene, trascorso questo lasso di tempo, le foglie sane della pianta danneggiata non mostravano alcuna differenza con le foglie delle piante vicine né con quelle isolate, dimostrando così che è indispensabile il mezzo aereo affinché si inneschino risposte di difesa e che il cosiddetto “messaggio di aiuto” da pianta a pianta non è altro che un meccanismo sì utile, ma casuale, di intercettazione di molecole che in primo luogo sarebbero destinate alla sopravvivenza dell’individuo danneggiato.
Non bisogna tuttavia trascurare l’importante valore evolutivo di un simile meccanismo fisiologico, solo perché si pensa che una pianta “aiuti casualmente” le piante vicine salvaguardando però se stessa: è sicuramente un comportamento vincente, che la natura seleziona positivamente nella sua seppur istintiva efficienza.
E, anche se non esiste un sistema nervoso nel regno vegetale, i botanici ormai sono concordi nell’affermare che questo debba essere considerato un vero e proprio “olfatto delle piante”.

Kost, C., & Heil, M. (2005). Increased availability of extrafloral nectar reduces herbivory in Lima bean plants (Phaseolus lunatus, Fabaceae) Basic and Applied Ecology, 6 (3), 237-248 DOI: 10.1016/j.baae.2004.11.002

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